Pienone per il concerto ai Celestini “Come brace che arde silenziosa…” di saluto e ringraziamento alle Suore Sacramentine

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Pienone per il concerto “Come brace che arde silenziosa…” ideato da Alessandro Bottelli come saluto e ringraziamento alle Suore Sacramentine del Convento dei Celestini.

Il coro femminile “Gli Harmonici” diretto da Fabio Alberti e il fisarmonicista Nadio Marenco hanno proposto un applaudito programma con musiche di forte spiritualità, assecondando la raccolta sacralità del luogo.

 

di Davide Mutti

“Come brace che arde silenziosa…” è il titolo del concerto svoltosi domenica 20 ottobre nella sempre incantevole chiesa di San Nicolò ai Celestini quale definitivo atto di saluto e ringraziamento alle Suore Sacramentine che si apprestano a lasciare Borgo Santa Caterina dopo 86 anni di ininterrotta presenza: titolo che è dunque quanto mai indovinato e che ben sottolinea l’operosità discreta e generosa che ha caratterizzato questi lunghi anni in cui la storia delle Sacramentine – ordine a cui il Convento venne donato da Ludovico Goisis nel 1940 per finalità sociali e assistenziali – si è intrecciata con quella del nostro quartiere.

Alessandro Bottelli

 

Ad esibirsi – dopo l’introduzione di suor Marzia Atti, la prolusione di suor Iolanda Pistani, superiora generale delle Suore Sacramentine, e di Alessandro Bottelli, direttore artistico di questo e di altri eventi musicali svoltisi in questi due anni ai Celestini e volti alla valorizzazione del luogo – le giovani voci del coro femminile “Gli Harmonici”, gruppo vocale bergamasco fondato nel 2009 e subito affermatosi sulla scena nazionale ove ha conquistato numerosi riconoscimenti in concorsi corali. Diretto da Fabio Alberti, il coro ha offerto all’ascolto un saggio del proprio ampio repertorio con una proposta centrata prevalentemente su compositori moderni e contemporanei, fatto già encomiabile di per sé, in un mondo musicale che sembra guardare quasi esclusivamente ad un passato spesso musealizzato.

In apertura l’esuberante Cantemus dell’ungherese Lajos Bàrdos il cui testo latino, sviluppato su una musica di vivace poliritmia, ha riecheggiato il noto adagio di Sant’Agostino: cantare è proprio di chi ama. Poi, un rapido ma significativo excursus nel repertorio più antico con la lauda medioevale Altissimu onnipotente nella trasparente elaborazione di Riccardo Giavina – geniale compositore trentino scomparso nel 2019 – seguita da un mottetto natalizio bipartito – invero fuori stagione – tolto dalla ricca produzione dello spagnolo Tomàs Luis de Victoria (O Regem caeli – Natus est nobis) sempre intrisa di mistici ardori: esecuzione impassibile, secondo la pratica filologica più accreditata, ma di grande limpidezza.

Quindi, quale giusto omaggio alle Suore stesse e ad un quartiere con forte vocazione mariana, tre brani dedicati alla Vergine: nell’Ave Maria di Franz Xaver Engelhart l’intelligente spazializzazione del coro in navata – spesso usata con intento meramente effettistico e senza alcuna giustificazione musicale – ha qui invece evocato con vivido e onomatopeico realismo il suono di campane descritto dalla partitura. A seguire, l’inoffensiva quiete – non sempre rispettosa dell’integrità e degli accenti latini, cosa pure comune a molta musica oggi in voga – dell’ungherese Miklòs Kocsàr (Salve Regina e Sub tuum presidium).

 

Se in questa prima parte abbiamo potuto ascoltare e apprezzare le voci de “Gli Harmonici” in esecuzioni “a cappella” di nitida intonazione, la seconda parte è stata invece accompagnata al pianoforte da Francesco Locatelli in musiche di taglio più schiettamente pop (si vedano in proposito le atmosfere leggere e quasi canzonettistiche del Pater noster di Xabier Sarasola e di Dirait-on di Morten Lauridsen) e jazz, con tre movimenti dalla nota A Little Jazz Mass dell’inglese Bob Chilcott: opera meritoriamente lontana dalla compassata seriosità di tanta musica sacra antica e nuova, ma lontana pure dal genuino spirito acclamante (Sanctus e Benedictus) o litanico (Agnus Dei) che anima i sacri testi, qui spesso ridotti a mero fonema. Quasi un pretesto, insomma, per la composizione di musica pur sapientemente condotta, dove legittime esigenze formali e fraseologiche predominano su quelle testuali.

Il sentito lirismo, misurato e sempre sapiente, di John Rutter con la sua nota A gaelic blessing ha avviato a chiusura il concerto che si è pure giovato di tre brevi ma sapide incursioni del fisarmonicista Nadio Marenco il quale ha proposto con rara intensità tre celebri Ave Marie (Schubert, Gounod, Piazzolla) unite senza soluzione di continuità in una sorta di medley, la celeberrima Aria sulla IV corda di Bach e una serie di variazioni di eccitato bravurismo su Fra’ Martino campanaro.

Nadio Marenco

 

Gran finale – dopo il gradito omaggio di una rosa a tutte le suore presenti quale richiamo alla ricca presenza floreale nei dipinti del transetto – con coro (qui prodottosi pure in coreografie e body percussion), pianoforte e fisarmonica sulle scattanti note del folklore serbo con il canto popolare Niska Banja, nell’elaborazione di Nick Page.

Tutti esauriti i posti disponibili in chiesa da un attento pubblico che ha generosamente espresso il proprio apprezzamento agli interpreti, nella speranza che – anche senza la presenza delle Suore Sacramentine – il Convento di San Nicolò ai Celestini non perda la sua preziosa funzione culturale e cultuale a beneficio del Borgo e dell’intera città di Bergamo.

Foto di G. Mazzucconi