Cenni Storici

Chiesa dei Celestini

La Chiesa dei Celestini costituisce un elemento essenziale del Borgo di S. Caterina. Il suo caratteristico campanile a tronco di cono, che doveva essere provvisorio e divenne poi definitivo, fa parte dell’immagine del Borgo dei tre campanili.

L’origine della chiesa e del convento è quasi certamente anteriore alla costituzione della parrocchia e forse di poco posteriore alla stessa chiesa del borgo. Mentre dell’origine della chiesa parrocchiale poco o nulla si sa con certezza, molto sicure invece e documentate sono le notizie relative alla chiesa ed al convento dei Celestini, fondati dal cardinale bergamasco Guglielmo Longo, o Longhi, o De Longis.

1240 Nascita del cardinale Longo, morto nel 1319. Fu nominato cardinale da papa Celestino V. Addottorato all’Università di Padova, vissuto a Roma, presso la sede papale, ed a Napoli alla corte di Carlo d’Angiò, priore della Cappella Reale di S. Nicola da Bari.

1305 La corte papale, con Clemente V, si trasferì ad Avignone e il cardinale Longo la seguì e vi ebbe delicati ed importanti incarichi.

1309 Il cardinale Longo fece donazione al nipote Giacomo dei suoi beni nella città di Bergamo e nei dintorni, tenendo per sé alcune terre nel vico di Plorzano per fondarvi un monastero. Allo stesso fine, nel medesimo anno, acquistò anche un corpo di case dei Petergalli.

1311 La nuova chiesa e convento furono consacrati dal Vescovo di Bergamo Cipriano Alessandri, alla presenza dello stesso cardinale.

San Nicolò

La chiesa ed il monastero furono intitolati a San Nicolò in quanto il Longo, che era stato priore della Cappella Reale di S. Nicola da Bari, alla sua nomina a cardinale aveva assunto il titolo di S. Nicolò al Carcere Tulliano. Nel convento stabilì dei monaci appartenenti alla “Congregatio Coelestinorum”, l’Ordine dei Frati Celestini dei Fratelli di Santo Spirito.

Ordine dei Frati Celestini

Fondato sulla Maiella nel 1264, dal monaco benedettino Pietro da Morrone, nato a Isernia nel 1215, che sarà eletto al papato nel 1294 col nome di Celestino V.
Il nuovo ordine aveva la finalità di restaurare l’ideale del monachesimo cristiano, assai decaduto nel secolo XIII. Il cardinal Longo, anche se probabilmente non fece parte del nuovo ordine, ebbe però particolare attaccamento e preferenza per i Celestini, sia per costante gratitudine verso il papa che l’aveva innalzato alla dignità cardinalizia, sia per ammirazione delle finalità dell’ordine, che condivideva ed apprezzava, essendo egli stesso di grande pietà e di specchiati costumi.

1311 Oltre alla chiesa e monastero di S. Nicolò, fece costruire e consacrare nello stesso anno anche la chiesa di Santo Spirito in Bergamo, con annesso ospedale e convento, affidati pure ai Celestini, che si dicevano appunto Fratelli di Santo Spirito. Fece anche erigere la chiesa di S. Giacomo in Pontida e fondò la cappella nella chiesa di S. Francesco, dove fu sepolto nel suo mausoleo, opera di Ugo da Campione.
La sua tomba monumentale fu poi trasferita nel 1839 nella Basilica di S. Maria Maggiore.

Alberico da Rosciate

Altra figura illustre legata alla chiesa di S. Nicolò dei Celestini è quella di Alberico da Rosciate, nato nel 1290, giurista sommo, consulente di imperatori e pontefici.
Dopo che nel 1350, in occasione del giubileo, si era recato a Roma in pellegrinaggio, con la moglie e i tre figli, e vi aveva incontrato anche il Petrarca, tornò nella sua città e si ritirò a vita tranquilla in una sua casa dell’antico borgo di Plorzano, presso il monastero dei Celestini, dove volle essere sepolto, dopo la sua morte, avvenuta il 14 settembre 1354.
Dopo la soppressione del convento, le sue ceneri furono trasferite in S. Maria Maggiore dove è ricordato con due lapidi marmoree, una in latino del 1355 ed una in italiano del 1868.

Chiesa e Convento

La struttura architettonica e le opere d’arte di scultura e pittura furono improntate alla massima semplicità, conforme alla stretta regola benedettina che ispirava la vita dell’ordine, ben lontana quindi dalla solenne fastosità e grandiosità di altri edifici sacri.
Afferma infatti l’Angelini: “Il sapore agreste intimamente monastico del Chiostrino nel luminoso chiarore del suo bianco intonaco è tuttora rimasto anche attraverso le vicissitudini secolari del Convento”.
Dopo la fondazione, il convento e la chiesa subirono modifiche ed aggiunte.

1400 La chiesa fu rifatta ed ampliata.

1489 Fu costruito il campanile, la cui cuspide, in seguito colpita dal fulmine, fu riparata con una sistemazione provvisoria a tronco di cono, che tuttavia rimase poi definitiva e che, “anche se inconsueta, – dice ancora l’Angelini – ha nelle proporzioni armoniche un suo interessante carattere”.

Fine ‘600 e primi del ‘700

Ad opera dell’abate Celestino Regazzoni, fu attuata la cosiddetta “addizione barocca”, comprendente un’ampia scala, un nuovo braccio a mezzogiorno, la trasformazione del chiostro grande e l’abbellimento interno della chiesa con stucchi, affreschi e intagli.
I lavori furono progettati ed eseguiti dal fratello dell’abate Paolo Antonio Regazzoni, teologo e architetto e probabilmente frate dello stesso ordine e residente nel Convento.

1694 – 1697 – 1700 Date riportate su una lapide a testimonianza delle opere compiute.

1720 Data riportata su una seconda lapide precisando che i lavori furono finanziati dallo stesso abate Regazzoni e dal fratello (Aere proprio fieri curarunt). Alla memoria dell’abate, morto a 83 anni nel 1726, e sepolto nella chiesa, i monaci dedicarono una bella lapide.

Sulle vicende interne del Convento vi sono notizie, anche se non molto numerose e circostanziate, che testimoniano gli avvenimenti più importanti succedutisi nei secoli.

Numero dei monaci

Non elevato.

1596 In quell’anno risultano essere in tutto tredici, con un reddito di 600 ducati, secondo la famosa relazione di Zuanne da Lezze, Capitano di Bergamo.

1659 In quell’anno alla visita pastorale di S. Gregorio Barbarigo, i monaci erano dieci, con 600 ducati di entrate.

1704 In quest’anno secondo l’archivio del fondo Celestini, vi erano sette sacerdoti, compreso il padre abate, tre conversi e un guattero.

 

EVENTI PIU’ TRISTI CHE LIETI

1393 – 10 agosto
Le invasioni e le scorrerie da parte di soldatesche ghibelline che misero a sacco il convento.

1475
I monaci, che si erano da tempo trasferiti nel convento ed ospedale di Santo Spirito, più sicuro e comodo, furono espulsi per ordine del governo veneto e dovettero ritornare in S. Nicolò.

 1514 – Agosto
Il vicerè spagnolo Raimondo Cardona ed il Colonna, per assediare la città, si installarono nel monastero dove si svolsero anche le trattative di pace tra la città e il vicerè spagnolo che tolse l’assedio accontentandosi di 10 mila scudi e una taglia di 12 mila per gli ostaggi.
Si disse che avrebbe accettato di togliere l’assedio anche perchè gli sarebbe apparso S. Alessandro.
Nel convento ebbe pure sede per molto tempo il Consorzio della Misericordia di S. Caterina.

XVII secolo
Secondo quanto afferma il Calvi nelle sue “Effemeridi”, è attestata l’esistenza di una Compagnia della Santissima Vergine dello Spasimo o dei Sette Dolori, per la quale erano eletti sei consiglieri o presidenti. La Compagnia, fondata il primo marzo 1600, era costituita da più di 500 persone, ed aveva ottenuto da papa Paolo V, con un breve del 6 maggio 1604, particolari privilegi e indulgenze.
Conclude però il Calvi: “Cominciò con gran spirito e fervore, ma a giorni nostri (1676) non è più in essere”.

1794
Il convento fu chiuso e la comunità sciolta, essendosi i frati ridotti ad un numero assolutamente esiguo. I locali da allora furono utilizzati in diverso modo.

1795

2Celestini

Acquistati i locali dal Seminario di Bergamo, vi furono collocate alcune classi che vi restarono per parecchi anni, se nel 1829 vi erano ancora le classi ginnasiali col direttore spirituale Don Luigi Speranza, che sarà poi vescovo di Bergamo nel 1854.

1800
Vi si installò anche una “Casa privata di educazione maschile”, col rettore Abate Zenoni, e vi restò fino al 1833, quando si trasferì nella Villa Grismondi di Redona.
Da una relazione del rettore Don Zenoni a Giovanni Maironi da Ponte, incaricato della sorveglianza alla casa, si apprende che nel collegio vi erano 37 allievi con nove professori e tre prefetti.

1839-1854
Nei locali dell’ex convento fu accolta la I.R. Scuola di Educazione Militare Lombarda.

1870-1882
Vi furono ospitati temporaneamente i Padri Cappuccini prima di tornare nella loro vecchia sede di Borgo Palazzo.

1884
I locali divennero proprietà del Comune di Bergamo che vi pose l’Ospedale dei contagiosi.
Questo vi rimase fino al 1935, quando passò nella sede del nuovo Ospedale Maggiore.

1937
Ludovico Goisis, Cavaliere del Lavoro, acquistò i locali della chiesa e dell’ex convento per restituire al culto la chiesa e trasformare il convento nell’Orfanotrofio Femminile di S. Giuseppe, affidato alle Suore Sacramentine.
Dei lavori di restauro e di trasformazione fu incaricato l’ingegnere Luigi Angelini che, con opera attenta, intelligente e appassionata, li concluse entro il 1938.

 1939 – Primo gennaio
Il Vescovo di Bergamo, Mons. Adriano Bernareggi, benedisse la chiesa restituita al culto.
Lo stesso ing. Angelini pubblicò nel medesimo anno 1939 un prezioso volumetto su le “Vicende e restauri della chiesa e convento di S. Nicolò ai Celestini in Bergamo”, dal quale sono state tratte in buona parte le notizie qui riportate.

1939
La chiesa fu così aperta al culto ed i locali dell’ex convento ospitarono alcune decine di orfane.

1974
Per l’evolversi della società, l’orfanotrofio cessò di funzionare come tale ed accolse invece studentesse figlie di lavoratori infortunati, inviate dall’O.N.P.I. fino a che, nel 1977, quest’opera fu soppressa.
Negli stessi locali furono ospitate per alcuni anni fino al 1979 due sezioni della Scuola Materna “Garbelli”.

1979
L’”Istituto ai Celestini”divenne Casa provincializia delle Suore Sacramentine, qui trasferita da Colognola. Continua però nella sua attività di beneficenza ospitando in ore extra-scolastiche, fino a tardo pomeriggio, alunni delle scuole elementari i cui genitori sono impegnati entrambi in attività di lavoro.

Infine l’Istituto ha continuato e continua ad ospitare gruppi e comunità per giornate di ritiro nella preghiera e nello studio, mantenendo anche la sua caratteristica e perseguendo la sua finalità di essere centro di Adorazione Eucaristica, secondo lo scopo principale dell’Istituto dalla sua fondazione.

La chiesa ed il convento di S. Nicolò ai Celestini fecero parte territorialmente, anche se non giurisdizionalmente, della Parrocchia di S. Caterina, come appare dalle relazioni di visite pastorali, ed in particolare da quella di S. Carlo Borromeo nel 1575.

Comunque, dalla sua rinascita come luogo di culto, ha sempre collaborato attivamente e cordialmente con la parrocchia di S. Caterina nel perseguire il fine comune di assistenza spirituale ai cittadini del borgo.

 

Convento dei Celestini
in via Celestini, 12 Bergamo

Complesso monastico

Il complesso monastico sorto nel Borgo di Plorzano doveva essere una costruzione umile e di ben poche pretese.

La chiesa originaria era formata da un’aula unica, articolata in tre campate di cui quella occidentale leggermente inflessa rispetto all’asse longitudinale, con piegamento verso sud.
La copertura a tetto, con capriate lignee a vista, poggiava sugli archi diaframma ancora oggi esistenti; l’altare maggiore era collocato nella campata orientale, contro la parete di fondo; l’ingresso si apriva dalla parte opposta, lungo la parete sud della campata occidentale.

I locali del monastero

I locali del monastero, comprendenti la sala capitolare e il refettorio, si estendevano in ordine allineato verso ovest, concludendosi contro il chiostrino medioevale con il quale formavano un angolo di novanta gradi.
Di questo primo intervento costruttivo faceva probabilmente parte anche l’attuale sagrestia, addossata alla parete nord della campata inflessa.

Probabilmente nel terzo-quarto decennio del quattordicesimo secolo, la chiesa venne ampliata mediante l’aggiunta di un corpo di fabbrica in direzione nord-sud, in posizione perpendicolare rispetto alla costruzione primitiva, nella quale venne ad innestarsi in corrispondenza della campata centrale, determinando così la nuova forma a croce greca.
Nell’ambito di tali lavori, l’altare maggiore subì lo spostamento dal braccio orientale a quello settentrionale, di nuova costruzione, coperto da una volta a crociera segnata da costoloni semicilindrici che si concludono su peducci pensili; una chiave circolare, decorata con la figura del candido agnello e tre aste recanti i simboli della Passione di Cristo (la croce con la corona, la lancia e la spugna) provvede al bloccaggio della volta.

Nuovo corpo della chiesa

Oltre all’edificazione del nuovo corpo della chiesa, più alto del precedente di circa un metro e mezzo ed ornato, sotto il risalto di gronda, da una serie di archetti incrociati in cotto, appartiene a questo secondo intervento costruttivo l’apertura dell’attuale ingresso all’edificio per il culto, in corrispondenza della campata meridionale, e la realizzazione del minuscolo locale accanto alla sagrestia, costituente forse il corpo di un piccolo campanile.

Altri interventi in questo secolo non furono eseguiti sul complesso monastico ad eccezione di alcune decorazioni ad affresco nell’interno della chiesa (1393).

Alberico da Rosciate

Dal 1358 abitò presso il monastero dei Celestini contribuendo all’abbellimento del fabbricato e alla costruzione, nella chiesa di San Nicolò.
Risale alla prima metà del quindicesimo secolo la costruzione del chiostro grande di S. Nicolò, di una cappella nella quale fissò in seguito la sua sepoltura.

Chiostro

Edificato in parte con capitelli e pilastri trecenteschi di recupero, appartenuti forse ad un precedente porticato.

 

Attuale campanile

Verso la fine del secolo, fu innalzato poi l’attuale campanile, nell’angolo formato dall’intersezione dei due bracci nord ed est della chiesa.

Un abate che diede grande impulso all’incremento della volumetria del monastero e alla decorazione della chiesa, fu Celestino Regazzoni: a partire dal 1688 aggiunse il nuovo corpo di edifici a sud della chiesa, con l’ampio scalone a due rampe e parapetto in pietra; si provvide alla ristrutturazione del piano superiore del chiostro grande, comprendente l’apertura delle semplici finestre rettangolari che ancora oggi si schiudono sul cortile.

 

Chiostrino trecentesco

L’intervento successivo fu rivolto alla costruzione di alcuni locali rustici contro la parete occidentale del chiostrino trecentesco.

1694-1720
L’abate Regazzoni dedicò particolare attenzione alla chiesa: la copertura a capriate lignee a vista che interessava tutto l’edificio, ad eccezione del presbiterio, fu sostituita con una soffittatura piana, in corrispondenza delle campate centrale e meridionale, e da finte volte nei due bracci del transetto; la decorazione ad affresco della nuova copertura e della parte alta delle pareti, fu affidata al bergamasco Giuseppe Cesareo;.

1704 Il ticinese Antonio Camuzio eseguì i pregevoli stucchi che incorniciano gli affreschi e decorano il cornicione e i sottarchi.

1720 L’ampliamento dell’organismo cenobitico proseguì con la costruzione del porticato lungo il braccio meridionale della chiesa. Pur tra mille difficoltà la comunità monastica dei Celestini sopravvisse fino al 1789 allorché venne soppressa con provvedimento della Repubblica di Venezia.

1791 Acquistato dal seminario diocesano, il monastero di San Nicolò fu sede per alcuni anni di una sezione del seminario stesso.

1870 Segnò per il monastero di San Nicolò il ritorno della vita claustrale per l’arrivo dei Padri Cappuccini.
Dodici anni dopo, ritornati i Cappuccini nella loro sede originaria, il cenobio dei Celestini rimase vuoto e abbandonato per qualche tempo.

1890 Fu acquistato dal Comune che vi creò l’Ospedale dei Contagiosi.

 

I restauri

1938 Importanti interventi di riattamento e di ristrutturazione interessarono il cenobio di S. Nicolò per iniziativa del cavaliere del lavoro, Lodovico Goisis, il quale, dopo avere acquistato il fatiscente complesso dal Comune, vi creò la sede dell’Orfanotrofio Femminile di San Giuseppe.
I lavori, comprendenti il restauro delle parti monumentali, la demolizione di un corpo di fabbrica ad ovest, adiacente il chiostrino medioevale, la costruzione del fabbricato nell’angolo di sud-ovest, simmetrico a quello di sud-est, e del corpo di fabbrica a nord-ovest, l’apertura di finestre simili a quelle già esistenti, il rifacimento degli intonaci, la sostituzione di alcune parti murarie, malamente sistemate nei secoli passati, il rifacimento del pavimento in cotto della chiesa, la pulitura degli stucchi e degli affreschi, furono curati dall’ing. LuigiAngelini.

 

La chiesa

Caratterizzata da una pianta a croce greca non orientata, con il braccio ovest del transetto in posizione inflessa rispetto all’asse trasversale, evidenzia le due fasi costruttive anche se queste si sono succedute a breve distanza di tempo l’una dall’altra. Costituita inizialmente da un solo corpo longitudinale, con direzione est-ovest, scompartito da tre campate a pianta quadrata, scandite da grandi arcate trasversali poggianti su pilastri prismatici e reggenti le capriate lignee di sostegno della copertura a due spioventi, fu completata nell’alzato intorno al 1330-1340 mediante l’innesto, in corrispondenza della campata centrale, di un corpo di fabbrica ortogonale, orientato in direzione nord-sud.

Con lo spostamento dell’altare maggiore nella nuova campata settentrionale coperta con volta a crociera costolonata, l’orientamento della chiesa venne a subire una rotazione di novanta gradi e il primitivo corpo determinò il transetto della nuova pianta a croce greca.
Il nuovo corpo supera in altezza il precedente di circa m 1,50 e in corrispondenza dal coro, sotto il risalto di gronda, presenta un’aggettante decorazione in cotto ad archetti intrecciati, su brevi peducci, sormontata da un fregio in laterizio con motivo a dente di sega, formante, con la grigia parete di pietra, un caratteristico gioco dicromatico.
Alcune monofore a pieno centro, dall’arco interno trilobato, si ripetono nel braccio orientale del transetto, nella campata meridionale e in quella settentrionale la cui parete a nord, tagliata a capanna, lascia intravedere, nella parte bassa, i contorni di due finestrelle tamponate, sormontate da un piccolo loculo.

 

Affreschi del Tre-Quattrocento

Si tratta di opere di notevole pregio artistico e di indiscutibile valore storico, riportate alla luce durante i lavori del 1938-39 ed in seguito restaurate dal bergamasco Arturo Cividini.

Decorazioni barocche

Già all’inizio del Seicento, sullo sfondo di un lungo e duraturo periodo di pace, il gusto barocco, ricco di impetuosi particolarismi e di inebrianti innovazioni derivate dalla nuova moda del tempo, si era andato affermando sovrapponendosi alle forme intellettualistiche del manierismo tardo-rinascimentale; in questa ottica, anche la chiesa di San Nicolò di Plorzano, come già altre chiese della città e della provincia, venne rivestita da una fantasmagorica e bizzarra epidermide di stucchi, affreschi, arazzi che tutto intese ricoprire, riquadrare, contornare, giungendo in ogni angolo, senza nulla tralasciare.
Si iniziò con la costruzione delle finte volte nei due bracci del transetto e della soffittatura piana nelle campate meridionale e centrale, per l’affrescatura delle quali l’abate Regazzoni chiamò il bergamasco Giuseppe Cesareo che vi attese dal 1670 al 1672.

Gli stucchi

Nel 1704, alcuni decenni dopo che Giuseppe Cesareo ebbe portato a termine gli affreschi delle volte e delle pareti, l’abate Regazzoni commissionò al modellatore ticinese, Giovanni Antonio Camuzio, gli stucchi ornamentali che decorano i sottarchi, incorniciano i dipinti con gli episodi della vita di San Nicolò e raffigurano, sopra il cornicione della navata, i pontefici San Pietro Celestino, San Leone Magno, Innocenzo III, San Pio V, Gregorio VII, Onorio III.

Pala sulla parete di fondo del presbiterio

Anche la pala sulla parete di fondo del presbiterio fu racchiusa entro una cornice barocca; due bianche cariatidi reggono la cimasa nella cui parte centrale due putti sostengono uno stemma tripartito: nel centro compare la S attraversata dalla croce d’oro infissa sul monte tricuspidato, simbolo dei Celestini; a sinistra il leone rampante con banda, stemma del cardinale Longo; a destra i tre gigli d’oro in campo azzurro, stemma dell’abate Regazzoni.

Il chiostro medioevale

Appartiene al primitivo corpo di fabbrica edificato tra il 1309 e il 1311; raccolto attorno ad una pianta quadrilatera, di piccole dimensioni, si sviluppa sensibilmente nell’alzato determinando un profondo senso di raccoglimento e di suggestiva intimità. Si tratta di una costruzione umile, caratterizzata da tozzi pilastri ottagonali in mattoni, originariamente intonacati, nel deambulatorio a piano terra e le basse colonne dello stesso materiale, con semplici capitelli, nel loggiato; dalla totale mancanza di decorazioni e di ornamenti in corrispondenza degli archi e dalla muratura in pietrame.

Il porticato

E’ impostato su dodici archi a tutto sesto di luce fra loro differente, retti complessivamente da otto pilastri ottagonali in cotto a vista, oltre a quelli angolari, binati, tutti sormontati da semplici capitelli e poggianti, tramite basamenti in pietra, su un alto muretto con una sola apertura di passaggio nella parte mediana del lato a nord.
Sopra il portico si sviluppa il caratteristico loggiato formato da quattro archi lungo i lati nord e ovest e da cinque archi in corrispondenza del lato sud, tutti con ghiera decorata in cotto e sorretti da grevi colonne; la loggia si interrompe in corrispondenza del lato orientale, interamente occupato da un corpo di fabbrica che insiste sul sottostante portico. Il pavimento è lastricato in pietra di arenaria.

Il chiostro grande

A pianta quadrilatera irregolare, è impostato su sei pilastri reggenti sette archi, lungo i lati maggiori, e su quattro pilastri e cinque archi lungo quelli minori, oltre ai pilastri angolari. Costruito in parte con materiale di recupero, proveniente forse dalla demolizione di un porticato la cui preesistenza lungo il lato sud dell’edificio monastico, all’esterno della sala capitolare, è indicata da labili tracce, il chiostro si caratterizza per i quattro pilastri angolari in pietra, di sezione ottagonale, conclusi verso l’alto da capitelli trecenteschi recanti sugli spigoli decorazioni a foglie inflesse e di dimensioni maggiori rispetto agli altri, per il maggior carico che dovevano sopportare.
I rimanenti pilastri, pure ottagonali, differiscono dai precedenti per il materiale costruttivo (il cotto intonacato) e per le minori dimensioni dei capitelli, parte trecenteschi con decorazioni a foglie di cardo angolari, appartenenti alla fabbrica di cui s’è detto, e parte quattrocenteschi con bacellature stilizzate, di forma convessa, o con piccole volute costituenti il richiamo al classicismo.

 

Affreschi

Affreschi assegnati alla metà del Trecento sono riapparsi lungo la parete nord del chiostro: si tratta del contorno archiacuto all’ingresso della sala capitolare, delimitato da un cordone a tortiglione, in cotto, e di due contorni semicircolari alle finestre laterali, tutti poggianti su colonnette dipinte con capitelli prospettici.

Tra la porta e la finestra sul lato destro, spicca l’emblema dei Celestini, con le lettere O S C e la croce attraversante la lettera S e infissa sulla vetta del monte.
Allo stesso periodo è riconducibile l’affresco nell’angolo di nord-est del chiostro, contro la parete occidentale del braccio sud della chiesa: vi è raffigurata la Madonna seduta in trono, col Bambino in atto benedicente in grembo; un vescovo (forse San Nicolò) presenta alla Vergine tre giovanetti inginocchiati e con le mani giunte in preghiera.

Celestini - DSC01527

Potrebbe trattarsi del ringraziamento dei tre bambini riportati miracolosamente in vita da San Nicolò, secondo la tradizione (il miracolo è rappresentato nell’affresco sulla parete occidentale del presbiterio), dopo che erano stati uccisi e gettati in una tinozza.

 

Antico pozzo

Collocato in prossimità dell’angolo nord-ovest di questo chiostro, si può rilevare l’elegante architettura: due colonne sormontate da capitelli con decorazioni, l’uno a piccole volute, l’altro a foglie angolari, entrambi reggenti un architrave ottagonale.

Il campanile

Fu costruito nel 1489, come risulta dalla data incisa sulla targa fissata nella parete orientale, contro le murature trecentesche della chiesa, tra il presbiterio e il braccio est del transetto, probabilmente in sostituzione di un piccolo campanile che doveva sorgere nell’angolo nord-ovest, a ridosso della sagrestia.
Dall’analisi dell’alzato si rileva che il materiale costruttivo impiegato è la pietra da taglio in conci di discrete dimensioni e collocati in corsi orizzontali, solo in prossimità della base, per un’altezza di circa due metri da terra, oltre che in corrispondenza degli spigoli, essendo il corpo centrale edificato con blocchi di minori dimensioni, disposti senza troppa cura.
In corrispondenza della cella campanaria si aprono quattro bifore, una per ogni lato, con arco a tutto sesto, colonnina mediana su piedistallo prismatico e profilo in cotto; sotto il risalto di gronda si nota una decorazione con motivo ad archetti aggettanti, dall’intero trilobato.
La copertura è a tronco di cono in laterizio, concluso da un coronamento di tegole, costituente motivo di singolarità ed impronta di caratterizzazione.¹ _
____________________
Tratto da: ¹ Mario Locatelli, “San Nicolò di Plorzano”, Bergamo nei suoi monasteri: Storia e arte nei cenobi benedettini della Diocesi di Bergamo, Il conventino, Bergamo, 1986, pagg. da 276 a 293