BORGO INTERVISTE – 13^ PUNTATA – VANNI INVERNICI

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L’architetto Vanni Invernici, 68 anni, è un vero borghigiano doc avendo quasi sempre abitato nel borgo e avendolo per lungo tempo attivamente frequentato. Oltre alla sua professione svolge da cinque anni il ruolo di presidente del Forum Bergamasco delle Associazioni Familiari.

 

Buongiorno architetto, ci racconta il periodo della sua giovinezza nel Borgo?

Da quando sono nato e fino ai 20 anni ho abitato con la mia famiglia nel complesso delle case popolari di via Cairoli e ovviamente ho preso a frequentare l’oratorio di Santa Caterina, che insieme alla parrocchia sono stati per me punti di riferimento importantissimi e che mi hanno permesso di stringere rapporti umani molto significativi e di crescere nella fede. Di quegli anni ricordo con piacere diverse figure di sacerdoti, da Don Romeo Todeschini, il mio primo curato dell’oratorio, a don Silvio Ceribelli, a don Rino Rapizza, a don Bortolo Rota, fino a don Emilio Mayer che mi ha trasmesso la passione per il cinema. Sono grato in particolare a don Silvio che nel 1975 avviò in Parrocchia l’esperienza del Cammino Neocatecumenale, che tanto è stato fondamentale nella mia vita, in quella della mia famiglia e di tante altre persone. Ricordo il tempo del post Concilio, il desiderio di rinnovamento e di partecipazione del laicato, l’impegno nel catechismo, l’apertura alle istanze sociali che fecero fiorire, anche in Oratorio, iniziative come quella del “Cantiere” o la pubblicazione del mensile “Il Ponte”che simbolicamente indicava l’apertura al dialogo con i lontani nella valorizzazione dell’ecumenismo.

Ricordo il ’68, le discussioni anche molto accese in Consiglio Parrocchiale, il referendum sul divorzio, la cosiddetta contestazione globale. Furono anni di formazione, di maturazione, di forti divisioni e contrasti, ma anche di grandi battaglie ideali, perché c’era fermento, entusiasmo, passione, desiderio di intensa partecipazione.

 

Quali sono stati i suoi studi?

Ho frequentato il liceo scientifico e poi mi sono laureato a Milano nel 1972 in Architettura. Nel frattempo con la mia famiglia nel 1968 ci siamo trasferiti da via Cairoli in viale Giulio Cesare dove abbiamo abitato per una decina di anni. Nel 1974 ho iniziato a lavorare e nel 1979 ho sposato Emanuela, abitando dapprima in Ponte Pietra, poi di nuovo in S. Caterina e successivamente in Conca Fiorita. Insomma, dal Borgo non mi sono mai allontanato.

 

Di che cosa si è occupato nella sua professione di architetto?

Un po’ di tutte le branche dell’architettura, dall’edilizia all’arredo urbano al design industriale (disegno di oggetti per l’industria). Tra i vari progetti di cui mi sono occupato, ricordo con piacere il restauro della basilica di Clusone e dell’oratorio dei Disciplini, trasformato in polo museale dell’alta Valle; oppure l’edificazione del centro parrocchiale di Berbenno e del centro storico del paese o ancora, il recupero dell’ex convento dei frati di Sant’Antonio a Bergamo e la sistemazione generale di Via XX Settembre e della Piazza con le due Colonne di Prato in centro a Bergamo. Per quanto riguarda il nostro Borgo ho curato il progetto di sistemazione del cineteatro dell’oratorio, nello stesso fabbricato dove, nel vecchio teatro, mio nonno Angelo Pedrali e mia mamma recitarono per decenni nella storica compagnia dialettale.

 

Da esperto del campo, pensa che il Borgo sia “invecchiato” bene dal punto di vista urbanistico?

Sa, nel dopoguerra c’era l’esigenza, anche materiale, di ricostruire una nazione devastata da due conflitti mondiali e da decenni di regimi totalitari. La disciplina urbanistica però in Italia non è mai stata coltivata come necessario, e anche nel nostro Borgo alcuni interventi edilizi hanno creato, addirittura in affaccio sulla via S. Caterina, costruzioni non solo discutibili, ma addirittura fuori luogo. D’altronde tutta la Provincia, limitandoci al nostro territorio, è stata irrimediabilmente segnata dalla speculazione edilizia, in totale assenza di regole e di controlli: basta percorrere le strade che, partendo proprio dal nostro Borgo, portano alle Valli, per rendersi conto degli scempi. Anche dal punto di vista infrastrutturale si sono gettate al vento opportunità straordinarie e irripetibili, vedi la dismissione delle vecchie ferrovie delle valli (vi ricordate la fermata della stazione di via Corridoni?) che oggi, con lacrime di coccodrillo, rimpiangono tutti. Purtroppo anche recentemente ci sono esempi negativi, vedi, ad esempio, i luoghi adiacenti all’antico complesso dei Celestini e il viale del Santuario che sono stati oggetto di interventi di dubbio gusto e privi di rispetto e di armonia.

 

Dal punto di vista della comunità trova che Santa Caterina abbia conservato le proprie caratteristiche?

È sempre difficile fare dei confronti perché inevitabilmente le cose si evolvono con il passare del tempo.

Certamente il Borgo ha mantenuto un certo senso della comunità anche se non posso non notare la crescita dell’individualismo. Quando ero ragazzo ci si trovava spesso tutti insieme, ad esempio all’oratorio o fuori dal Santuario dopo la messa feriale delle 19 (ed eravamo decine a frequentarla) e se c’era bisogno di comunicare ci si parlava per ore, si discuteva, oppure ci si scriveva lunghe lettere. Oggi è tutto molto meno diretto: ci sono gli strumenti tecnologici, i social network, che peraltro, se maneggiati con cautela, trovo che siano molto utili. Ma la scristianizzazione, la perdita del senso del sacro e il crescente relativismo morale hanno causato danni gravi anche nella nostra realtà comunitaria.

 

Lei è anche presidente del Forum delle Famiglie di Bergamo…

Proprio così, da 5 anni. Io e mia moglie abbiamo avuto la grazia del Signore di avere 7 figli, quindi conosco abbastanza bene le problematiche che devono affrontare oggi le famiglie, e non solo quelle numerose. Oggi sempre meno persone si sposano e hanno figli: c’è un profondo vuoto esistenziale, si è perso il senso della chiamata all’amore per sempre, aperto alla generatività; tutto appare fragile, provvisorio, legato ai mutevoli sentimenti. Per di più le famiglie non sono sostenute da adeguate politiche familiari, come la nostra Costituzione sancì dal 1947, con specifici articoli dedicati alla famiglia. Sono profondamente convinto che la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna sia la cellula fondamentale della società, una ricchezza insostituibile per la nazione.

Senza famiglia e senza ricambio generazionale si va incontro ad un vero e proprio suicidio demografico. Ma è evidente che in Italia, che ricordo essere il paese più vecchio al mondo insieme al Giappone, questo non è tenuto nel dovuto conto dallo Stato e da tutte le altre Istituzioni preposte: certo, non basta il sostegno fiscale e tariffario, serve un impegno difficilissimo sul piano culturale, educativo e soprattutto su quello spirituale, e guai se anche la Chiesa, come madre e maestra, non entrerà in questa responsabilità e consapevolezza nella trasmissione della fede.

 

Vista la sua professione e la numerosa famiglia avrà sicuramente poco tempo libero. Ha delle passioni o dei passatempi che coltiva quando può?

È vero, di tempo ne rimane poco. Non manco mai però di tenermi informato sulla realtà politica o sociale nella quale viviamo e, quando posso, guardo qualche buon film. Sono appassionato di un po’ tutti gli sport e di tanto in tanto mi diletto a recitare per i parenti e gli amici le poesie di mio nonno Angelo, che era un poeta dialettale, oppure brani del teatro leggero.

 

Per chiudere, vuole rivolgere un pensiero ai nostri lettori?

Vorrei citare un verso di una poesia di mio nonno, che è riportato sulla stele intitolata ai tre poeti del Borgo d’Oro al Parco Suardi, Renzo Avogadri, Luigi Mazza e Angelo Pedrali: “No bade miga a quach malinconie/e pense che l’convé sö chèsta tèra/a göd i nòs-cc tri dé sens’èss in guèra”(Non bado a qualche malinconia/e penso che convenga, su questa terra/godere i nostri tre mesi senza essere in guerra).

Aveva avuto grandi sofferenze il nonno, ma credo volesse significare, come dice San Paolo, che le sofferenze del tempo presente non sono assolutamente paragonabili alla gloria che Dio manifesterà verso di noi e alla vita eterna che ci è donata in suo figlio Gesù Cristo. Dedico questo pensiero alle persone sofferenti, nel corpo e nello spirito, anziane e giovani, incoraggiandole ad avere fiducia nel Signore e nel suo amore gratuito e misericordioso, che non tiene conto delle nostre debolezze e fragilità. Ai più giovani un invito particolare alla conoscenza e alla consapevolezza e a fare bene tutte le cose, dalle più umili alle più impegnative: la bellezza dei piccoli gesti e l’amore vicendevole cambieranno il mondo.

Grazie architetto, a presto.

Mattia Paris