Sant’Agostino
L’affresco di Giovanni Pezzotta in Santuario
Alla base della cupoletta del coro, accanto agli affreschi ovali ritraenti gli altri tre Padri della Chiesa d’Occidente che particolarmente hanno onorato la Madonna con i loro scritti – sant’Ambrogio, san Bernardo e san Bonaventura – troviamo sant’Agostino, opera del pittore nativo di Albino Giovanni Pezzotta (1838-1911).
Il santo, qui ritratto con le insegne episcopali, è considerato uno dei massimi pensatori e filosofi.
Nato a Tagaste, nell’attuale Algeria, nel 354, ebbe come genitori un pagano e una cristiana, Monica, la futura santa. Allevato come cristiano, a sedici anni venne mandato a Cartagine per terminare i suoi studi e lì, poco dopo, incominciò una convivenza con una giovane donna alla quale rimase fedele per quattordici anni e dalla quale ebbe un figlio, Adeodato, che amò sempre profondamente.
Conclusi gli studi, tentò di dedicarsi all’insegnamento, ma con grande difficoltà, dati i dubbi interiori che lo agitavano: per molto tempo cercò la soluzione alla propria inquietudine nella filosofia, oscillando tra il manicheismo e il neoplatonismo. Nel 383 andò a insegnare a Roma e poi ricevette una nomina a Milano, dove subì l’influenza della forte personalità del vescovo Ambrogio. I suoi conflitti interiori lo fecero soffrire molto: da un lato aveva davanti a sé onori, ricchezza, un matrimonio prestigioso, dall’altra sentiva la vocazione a una vita dedicata interamente a Dio. Più tardi avrebbe espresso mirabilmente la sua pacificazione interiore dalle tante lotte con le famose parole Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te (Confessioni). La sua scelta definitiva fu presa per influsso della lettera di san Paolo ai Romani: Agostino, ricevuto il Battesimo, che aveva fino ad allora differito, alla vigilia di Pasqua del 378, insieme al suo amico Alipio e a suo figlio Adeodato, ritornò in Africa e formò una specie di comunità monastica; nel 391, però, fu ordinato prete e cinque anni più tardi fu scelto come vescovo di Ippona. Per trentaquattro anni sarebbe stato vescovo, e uno dei più grandi della storia cristiana: esercitò l’autorità pastorale con profondissimo spirito di servizio, con comprensione e sollecitudine per il benessere del popolo. Viveva in comunità con il clero della sua sede sotto una regola severa, presiedendo ogni giorno al culto pubblico, predicando ogni domenica e ogni giorno festivo, preparando i catecumeni al battesimo, provvedendo ai bisogni materiali della Chiesa e dei poveri, talvolta anche amministrando la giustizia negli affari civili. E scrisse ogni volta che poteva, sia scritti dottrinali (importantissimo il trattato sulla Trinità e gli scritti sulla grazia), sia per necessità locali, quali le opere contro le varie eresie che laceravano in quel tempo la Chiesa. La sua produzione scritta è enorme: sono sopravvissuti centotredici libri e trattati, più di duecento lettere e più di cinquecento sermoni. Le sue opere più conosciute sono probabilmente Le confessioni, un’autobiografia che arriva fino al momento della conversione, e La città di Dio, scritta in seguito alla notizia traumatizzante della conquista e saccheggio di Roma da parte dei Goti di Alarico II nel 410.
Sant’Agostino morì durante un altro assedio, questa volta alla sua città, da parte dei Vandali, che avrebbero mutato significativamente l’assetto nel Nord Africa.
Agostino rimane uno degli autori più letti e meditati, per la sua sconvolgente attualità, anche al di fuori della cerchia dei teologi o dei cristiani in generale.
La sua regola monastica è stata adottata e adattata da numerosi ordini maschili e femminili. Viene ricordato il 28 agosto, il giorno dopo sua madre santa Monica.
a cura della professoressa Loretta Maffioletti
dal bollettino parrocchiale di maggio 2016
Rubrica sul sito nella sezione Borgo > Storia e curiosità