BORGO INTERVISTE – 8^ PUNTATA – GIACOMO RANDAZZO

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Il cavaliere Giacomo Randazzo, originario di Caltagirone in provincia di Catania, ha 80 anni, la maggior parte dei quali dedicati al mondo del calcio. Proprio per la sua attività da dirigente calcistico è arrivato a Bergamo stabilendosi nel Borgo senza più spostarsi, abitando sempre a poca distanza dal centro del suo mondo, lo stadio.

Cavalier Randazzo, qual è stato il percorso che l’ha portata dalla Sicilia a Bergamo?

Fin da piccolo ho avuto una grande passione per il calcio, che poi si è trasformata in professione. Ho iniziato come corrispondente sportivo per il quotidiano catanese “la Sicilia” dove ho avuto l’onore di incontrare Candido Cannavò che in seguito diventò direttore della Gazzetta dello Sport, poi sono entrato nel mondo del calcio vero e proprio diventando segretario dell’A.S. Siracusa, che militava nell’allora Serie C, e per seguire questa strada ho abbandonato, con grande rammarico, gli studi in Legge che avevo intrapreso. Nel 1970 c’è stata la chiamata di Achille Bortolotti, che era appena diventato presidente dell’Atalanta, per ricoprire il ruolo di segretario della società; così sono arrivato a Bergamo che da allora è diventata di fatto la mia città.

Negli anni lei è diventato uomo di fiducia della famiglia Bortolotti prima e di Ivan Ruggeri poi, assumendo diverse cariche nella società Atalanta.

E’ così, con la famiglia Bortolotti ho lavorato per 20 anni, prima con Achille e poi con il figlio Cesare, due persone eccezionali: in particolare Achille mi ha insegnato molto facendomi scoprire l’orgoglio bergamasco e l’importanza della programmazione. Sotto la presidenza di Cesare è d’obbligo ricordare il raggiungimento di traguardi probabilmente irripetibili come importanti piazzamenti in campionato e tre partecipazioni alle coppe europee, che gli appassionati ricordano ancora oggi. Nel 1994 Ivan Ruggeri, che aveva da poco acquistato la società da Antonio Percassi , mi riportò a Bergamo dopo l’anno trascorso come Amministratore Delegato del Torino Calcio, e sono rimasto in società fino al 2001 come Direttore Generale. Dal febbraio al maggio del 2005 ho anche ricoperto la carica di Presidente della Società in un periodo di contestazioni verso Ruggeri da parte della tifoseria. Anche se erano molto diversi tra loro, devo dire che conservo uno straordinario ricordo sia della famiglia Bortolotti che di Ivan Ruggeri.
Gli anni della mia carriera passati lontano dall’Atalanta sono stati molto pochi: oltre alla già citata esperienza a Torino, ho lavorato due anni alla Federazione Italiana Gioco Calcio presso la Lega di Serie C e nel 2007 sono andato insieme ad Emiliano Mondonico alla Cremonese dove ho ricoperto per un anno il ruolo di Direttore Generale prima di chiudere definitivamente nel 2008.

Nella sua lunga carriera sono successi episodi particolari che vuole raccontare?

Ce ne sarebbero moltissimi! Cito due fatti controversi avvenuti entrambi nella stagione ‘89-’90: il primo in una partita di Coppa Italia contro il Milan quando i rossoneri, invece di restituire palla all’Atalanta che l’aveva messa in fallo laterale per far soccorrere un loro giocatore, andò all’attacco e conquistò un rigore che poi risultò decisivo per il passaggio del turno e l’eliminazione dell’Atalanta. In campo e negli spogliatoi si scatenò una vera bagarre e ricordo che il presidente del Milan Berlusconi in persona chiamò Cesare Bortolotti per scusarsi della mancanza di sportività; il secondo episodio avvenne pochi mesi dopo durante la partita di campionato Atalanta-Napoli, quando una monetina lanciata dagli spalti colpì il calciatore Alemao: i danni per il napoletano furono praticamente nulli, io lo vidi bene perché ero a bordo campo, ma l’entourage della sua squadra lo convinse a fingersi ferito così da ottenere la vittoria a tavolino, vittoria che poi risultò decisiva per la conquista dello scudetto da parte del Napoli. Invece un episodio divertente lo ricordo nel “tragico” anno della serie C del 1981-82: dopo alcune polemiche nella gara a Bergamo contro l’Empoli, per la partita di ritorno i toscani si rifiutarono di giocare nello stadio appena costruito sostenendo che il campo fosse impraticabile per un invasione di lumache. Fummo obbligati a giocare nel vecchio stadio, su un vero e proprio campo di patate e rischiammo anche di perdere quella partita: per fortuna alla fine pareggiammo 2-2 dopo essere stati in svantaggio per 2-0.

Come fu il primo impatto con il Borgo per un siciliano come lei?

Assolutamente positivo: appena arrivato mi stabilii con la famiglia in via Suardi dove abitammo per due anni, poi ci trasferimmo alla Conca Fiorita rimanendoci per 22 anni e infine 21 anni fa ci siamo spostati in viale Giulio Cesare dove risiedo tuttora; insomma dal Borgo non ci siamo mai allontanati e con esso abbiamo sempre mantenuto un legame stretto. Considero Santa Caterina molto vivibile e a misura d’uomo, una città dentro la città, che ovviamente negli anni è cambiata ma sono convinto che l’abbia fatto in meglio: trovo che oggi sia più aperta che in passato, cosa che insieme ai pro porta inevitabilmente anche dei contro ma penso che questa sia l’evoluzione naturale delle cose.
Devo dire che nel far crescere Borgo Santa Caterina ha avuto un ruolo centrale Don Andrea, non solo dal punto di vista spirituale ma anche da quello sociale perché la parrocchia nel Borgo è molto importante, essendo un prezioso collante fra gli abitanti e un vero simbolo di aggregazione.

Ha modo di partecipare alle iniziative che si svolgono nel Borgo?

Frequento spesso e con piacere il centro per la terza età, un luogo dove si incontrano persone piacevoli e che, con mia soddisfazione, organizza attività sociali e culturali molto interessanti.

Cavalier Randazzo, la ringraziamo per la simpatia e la disponibilità

Grazie a voi e un saluto ai vostri lettori.